Come possono le banche difendere i propri clienti dal bail in e quali strumenti e metodologie hanno oggi l'opportunità di mettere in campo per aiutarli a prevenire una situazione decisamente spinosa? Molto dipende dalla capacità della banca di governare il patrimonio informativo che ha a disposizione, e dalla tempestività con cui riesce a mettere al servizio del proprio back office tutte le informazioni utili a classificare i titoli e i prodotti finanziari che una banca immette sul mercato e offre ai suoi clienti, correntisti e azionisti. Questo è fondamentale anche per garantire, nel caso in cui si prospetti un'operazione di bail in, massima collaborazione e trasparenza alla cosiddetta “autorità di risoluzione”. Ruolo che, come tutti gli addetti ai lavori sanno, nel nostro Paese è ricoperto dalla Banca d'Italia. Prima di approfondire, potrebbe però essere utile riepilogare cos'è il bail in e in che casi si verifica. Dopodiché, sarà più semplice capire in che modo le banche possono essere al fianco dei propri clienti.
Bail in è un'espressione inglese che significa “salvataggio interno, o dall'interno”, e prevede per l'appunto la risoluzione di una crisi bancaria attraverso l'esclusivo e diretto coinvolgimento di azionisti, obbligazionisti, correntisti. Si tratta di una modalità introdotta a fine 2015, quando l'ordinamento italiano ha recepito la direttiva europea BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive), concepita per dotare tutti i paesi dell'Unione di regole omogenee e armonizzate, che convergessero verso tre obiettivi specifici e progressivi. Naturalmente la priorità è quella di pianificare la gestione di eventuali crisi. In questo modo diventa più semplice intervenire con tempestività, prima che le crisi si concretizzino, o gestirle in maniera ottimale durante la fase di risoluzione.
In questo contesto, secondo la sua definizione, il bail in consente alle banche di attingere a risorse interne per mitigare le perdite, e di avvalersi quindi anche dei valori sui depositi. Ricorrendo al bail in, più nello specifico, si svalutano azioni e crediti e li si converte in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare l'istituto in crisi o per sostenere un nuovo soggetto economico che continui le funzioni essenziali di quella che nel frattempo può trasformarsi, per esempio, in una bad company. Naturalmente ci sono vincoli precisi per applicare il bail in: nelle operazioni di salvataggio interno non possono essere toccati da prelievo forzoso i depositi fino a 100 mila euro, né i patrimoni che i clienti hanno affidato all'amministrazione della banca sotto forma di azioni, obbligazioni e titoli di fondi. La direttiva BRRD introduce per l'appunto la riduzione o la conversione in azione degli strumenti di capitale attraverso azioni concordate con la Banca d’Italia o tramite iniziative, sempre orchestrate dall’autorità di risoluzione di “early intervention”. Nello specifico, la Banca d’Italia ha la facoltà di predisporre piani di recovery che includano strategie e tattiche da intraprendere anche durante la fase di normale operatività dell'istituto in difficoltà. Gli strumenti di early intervention vengono calati nell'organizzazione affianco alle classiche misure prudenziali, tipicamente messe in campo nell'ambito del risk management, e sono implementati in base alla gravità della situazione riscontrata. Nella peggiore delle ipotesi, è anche possibile rimuovere gli organi di amministrazione e nominare amministratori temporanei.
Difendere i propri clienti dal bail in significa sostanzialmente rendere trasparenti e univoci i dataset che compongono il patrimonio informativo di cui è in possesso la banca, arricchendoli e aggiornandoli con input provenienti da info provider qualificati. Questo consente di mettere a disposizione sia degli operatori interni, sia della Banca d'Italia, dati di valore su cui imbastire le analisi in grado di far luce, nel dettaglio, sulla situazione dell'istituto, garantire la corretta classificazione dei titoli che potrebbero essere impattati dal bail in, e soprattutto imbastire iniziative di comunicazione efficaci per mettere i propri clienti al corrente dei potenziali rischi legati ai prodotti finanziari a cui hanno accesso.
Fondamentale, in questo senso, è dotarsi di un master anagrafico configurato come una soluzione end-to-end, capace cioè di assolvere sia alle funzioni di raccolta, comparazione e analisi dei dati, sia alle operazioni di affinamento e distribuzione delle informazioni agli attori coinvolti nel processo conoscitivo della realtà bancaria. Lo strumento in sé, naturalmente, non basta: bisogna anche sviluppare competenze analitiche e diffondere a tutti i livelli aziendali la cultura del dato. Solo in questo modo le banche possono migliorare la visibilità sui possibili scenari di rischio, garantire ai propri clienti massima trasparenza e avviare, qualora la situazione lo imponga, procedure di cooperazione e di condivisione di informazioni con la Banca d'Italia.