Una gestione completa e ottimale del portafoglio titoli implica un'approfondita conoscenza delle informazioni relative ai prodotti finanziari che una banca propone al mercato. Informazioni che devono poter essere facilmente accessibili, anche ai fini dell'audit, aggiornabili e distribuibili lungo l'intera catena del valore, dal back office agli sportelli (fisici o virtuali che siano). Chi lavora nel settore sa perfettamente cosa significa questo assunto. Soprattutto, sa bene qual è la mole di lavoro necessaria a tradurre l'obiettivo in risultato concreto: riuscire a catalogare e a classificare correttamente i titoli all'interno di un'anagrafica in continua espansione (basti pensare all'evoluzione del portafoglio azionario) – generando una versione univoca del patrimonio informativo a disposizione del software di gestione del portafoglio della banca e garantendo al tempo stesso la conformità dei dati per ottemperare alla normativa – richiede infatti lo sviluppo di un nuovo approccio metodologico al data management e ai rapporti con gli info provider.
È sufficiente fare mente locale su cos'è il portafogli titoli, quale complessità comporta la sua gestione e quali rischi implicano pratiche scorrette per comprendere la necessità di abilitare un processo di governance delle informazioni sottostanti adeguato.
Un portafoglio titoli è infatti tipicamente costituito da una determinata gamma di strumenti finanziari che, in modo integrato e complementare, puntano a massimizzare il rendimento dell'investitore in funzione di un livello di rischio concordato con l'emittente. La complessità nel definire cos'è il portafoglio titoli è accentuata dal fatto che ciascun investitore tende a diversificare il proprio paniere, trovando sempre nuovi equilibri tra azioni di polverizzazione (che potrebbero portare all'acquisizione di una quantità eccessiva di strumenti finanziari), la tentazione di legarsi ad asset class peculiari e la valutazione dell'incidenza dei costi.
Naturalmente, qualsiasi sia la strategia adottata nella creazione di un portafoglio titoli, ciò che è essenziale è che alla base ci sia da parte degli emittenti e in particolare delle banche una gestione ottimale delle anagrafiche titoli.
I vantaggi che si possono ottenere intraprendendo questo percorso superano decisamente la complessità delle sfide da affrontare. Innanzitutto, la corretta gestione dell'anagrafica titoli aiuta ad abbattere gli errori nella contabilizzazione delle operazioni e delle valorizzazioni, con l'effetto collaterale di diminuire il rischio di segnalazioni di vigilanza. E, oltre a migliorare la trasparenza del portafoglio titoli, del portafoglio azionario e dei prodotti finanziari che la banca immette sul mercato, funge anche da strumento di data quality e da abilitatore per l'automazione dei processi e dei flussi di dati che alimentano le operazioni interne e quelle – sempre più strategiche – condivise con i partner attraverso i software di gestione del portafoglio.
Nel momento in cui si sono adottati in azienda standard rigorosi per la data quality e la processazione dei vari input, garantire la correttezza e la coerenza delle informazioni generate all'interno dell'organizzazione è tutto sommato semplice. Ma la classificazione del portafoglio titoli e degli strumenti finanziari dipende come noto anche e soprattutto da una serie informazioni acquisite all'esterno, a partire da quelle che arrivano dai provider specializzati.
In genere le banche dispongono di accordi attivati con un unico partner, attraverso il quale accedono alle informazioni di cui hanno bisogno e popolano l'anagrafica titoli a cui attinge il software di gestione del portafoglio. In base agli standard di servizio stabiliti con la banca, l'information provider eroga i dati man mano che vengono immessi sul mercato nuovi strumenti finanziari e fornisce aggiornamenti e integrazioni nel momento in cui vengono modificate le caratteristiche di quelli già presenti in database.
Un approccio del genere però comincia a mostrare i suoi limiti: lo scenario finanziario si fa infatti sempre più vasto e complesso, e gli strumenti da cui derivano i prodotti, il portafoglio titoli e il portafoglio azionario sono in continua trasformazione, così come lo è l'apparato normativo. Fare affidamento su un singolo fornitore di dati potrebbe quindi non essere sufficiente per censire e classificare in modo completo – o addirittura corretto – i portafogli. Vediamo perché.
Nella maggior parte dei casi, gli information provider sfruttano approcci peculiari per estrapolare le informazioni che poi condividono con le banche, e utilizzano ciascuno linguaggi e criteri tassonomici differenti nel momento in cui le redigono e le rendono disponibili. Il confronto con le informazioni in possesso della banca può quindi portare a lacune, fraintendimenti o sovrapposizioni all'interno dei database. Tutto questo al netto, naturalmente, di possibili errori compiuti in origine dal proprio info provider durante la fase di raccolta dei dati.
Accedere a più fonti e individuare quelle più qualificate vuol dire invece stabilire quali informazioni (nuove o già acquisite dal software di gestione del portafoglio) sono corrette e quali invece potrebbero aver bisogno di un ulteriore processo di revisione. D'altra parte, mettere a fattor comune i dati forniti da provider diversi riduce la ridondanza di informazioni inutilmente replicate e fa emergere le divergenze tra input solo superficialmente omogenei. Un approccio del genere consente alle banche non solo di disporre sempre di una golden copy aggiornata rispetto al portafoglio titoli e al portafoglio azionario. Ma anche, attraverso un confronto tra le varie fonti che permetta di comprendere quali risultano nel tempo attendibili, di assicurarsi la collaborazione dei partner più qualificati, orientando gli investimenti sugli information provider che offrono informazioni di maggior valore.